Stazione Centrale                                                                                                       (Novembre 2002)

 

Due sono le considerazioni che vanno fatte quando si esamina il nuovo progetto di ristrutturazione della Stazione Centrale: una riguarda la procedura, l’altra l’architettura.

La procedura, simile a quella adottata per il Teatro alla Scala, fa allibire. Un’opera finanziata per il 60% dalle Ferrovie dello Stato, cioè con denaro dei cittadini, viene progettata senza concorso pubblico. Contro ogni consuetudine, ogni buona norma, ogni convenienza, l’incarico è stato direttamente affidato ad un professionista, scelto non si sa da chi né con quali criteri. Siamo di fronte ad una procedura totalmente priva di trasparenza; e la stessa prosegue indisturbata quando dall’affidamento dell’incarico si passa alle operazioni di esame e verifica del progetto. Fra pochi giorni gli Ente pubblici competenti (Comune di Milano, Regione Lombardia, Soprintendenza ai Monumenti, Vigili del Fuoco, Unità Sanitaria) saranno convocati a Roma ad una Conferenza dei Servizi, e dovranno esporre il loro parere sul progetto, verificando le reciproche esigenze e  scambiandosi le reciproche osservazioni. Trascorse non più di due settimane da questa convocazione ogni dibattito verrà chiuso ed il progetto sarà definitivamente approvato. Due settimane sono un tempo ridicolmente breve se si vogliono confrontare e conciliare le numerose osservazioni degli Enti competenti, tutte riferite ad un progetto complesso ed impegnativo. Due settimane sono al contrario un tempo fin troppo lungo se si cova la ambigua intenzione di far approvare il progetto in modo nascosto, silenzioso, furtivo; se si persegue la subdola trama di mettere l’opinione pubblica, le associazioni culturali, le istituzioni sociali, davanti al fatto compiuto. Una operazione edilizia di ottanta milioni di euro (160 miliardi di vecchie lire) riesce a passare inosservata e ad eludere l’attenzione della cittadinanza, sebbene riguardi non un edificio qualunque ma la Stazione Centrale di Milano.

Se la procedura adottata fa allibire l’architettura del progetto fa inorridire. Come già aveva osservato un arguto collaboratore di questo giornale, gli errori commessi dal progettista sono plateali: il tragitto per raggiungere i treni si raddoppia di lunghezza. Il cammino dei viaggiatori diventa tortuoso e frammentato. La biglietteria si presenta nascosta e lontana ed il percorso diretto agli sportelli entra in conflitto con il percorso diretto ai treni. I passaggi frequentati dai viaggiatori (ingressi, banchine, gallerie) si restringono per la presenza di ostacoli e dimezzano la loro larghezza proprio nei punti di maggiore afflusso dove dovrebbe essere spaziosi e liberi. Gli impianti di sollevamento delle persone (scale mobili ed ascensori) vengono trasferiti in posizione di difficile accesso. L’ingente costo delle numerose opere di demolizione e di ricostruzione appare insensato, inutile, ingiustificato.

A tutte queste gravi carenze funzionali vanno aggiunte le aberranti soluzioni architettoniche. La Stazione Centrale, si sa, non è un capolavoro di rigore e di eleganza formale. Rappresenta tuttavia un esempio di architettura eclettica e monumentale che - esecrata ferocemente (e comprensibilmente) dai pionieri dell’architettura moderna - è diventata oggi la testimonianza storica di una determinata epoca, di un preciso gusto, di un particolare indirizzo estetico. E’ un edificio certamente non di avanguardia, ma è un’opera dal disegno attento e accurato, dall’aspetto decoroso e serio, che non diventa mai sciatto né volgare. Caratteristica architettonica della Stazione è la sua dimensione imponente, la grandiosità dei suoi volumi esterni ed interni, la opulenza dei dettagli ornamentali e degli elementi costruttivi. Con quale diritto il progettista si prende la libertà di frantumare gli spazi, di frazionare le superfici, di occultare le decorazioni? Con quale autorità si permette di tagliare il profilo delle grandi arcate con un incontenibile eccesso di soppalchi, di passerelle, di balconate? Con quale giustificazione stravolge e snatura l’impianto distributivo originario? Perché tramuta in una vuota e deserta zona pedonale la maestosa galleria delle carrozze, intelligentemente studiata per accogliere e riparare dalle intemperie le carrozze (oggi le automobili) sia in arrivo che in partenza?

La risposta è una sola: progettisti, costruttori e finanziatori hanno ormai aderito al dilagante costume politico che cerca di ottenere profitti smodati (e da qui la valanga di lavori non necessari); e si compiace di offrire esibizioni spettacolari (e da qui la epidemia di architetture stravaganti), ma ignora finalità più sane ed elevate, cioè il raggiungimento di obiettivi culturali o sociali.