Il progetto complica la vita dei viaggiatori e cancella la storia della stazione

Che orrore la nuova Centrale

Jacopo Gardella

(26 Novembre 2002)

 

Due sono le considerazioni che vanno fatte quando si esamina il nuovo progetto di ristrutturazione della Stazione Centrale: una riguarda la procedura, l’altra l’architettura.

La procedura, simile a quella adottata per il Teatro alla Scala, fa allibire. Un’opera finanziata per il 60% dalle Ferrovie dello Stato, cioè con denaro dei cittadini, viene progettata senza concorso pubblico. Contro ogni consuetudine, ogni buona norma, ogni convenienza, l’incarico è stato direttamente affidato ad un professionista, scelto non si sa da chi né con quali criteri. Siamo di fronte ad una procedura totalmente priva di trasparenza; e la stessa prosegue indisturbata quando dall’affidamento dell’incarico si passa alle operazioni di esame e verifica del progetto. Una operazione edilizia di ottanta milioni di euro (160 miliardi di vecchie lire) riesce a passare inosservata e ad eludere l’attenzione della cittadinanza, sebbene riguardi non un edificio qualunque ma la Stazione Centrale di Milano.

Se la procedura adottata fa allibire l’architettura del progetto fa inorridire. Gli errori commessi dal progettista sono plateali. Il cammino dei viaggiatori diventa tortuoso e frammentato. La biglietteria si presenta nascosta e lontana ed il percorso diretto agli sportelli entra in conflitto con il percorso diretto ai treni. I passaggi frequentati dai viaggiatori (ingressi, banchine, gallerie) si restringono per la presenza di ostacoli e dimezzano la loro larghezza proprio nei punti di maggiore. Gli impianti di sollevamento delle persone (scale mobili ed ascensori) vengono trasferiti in posizione di difficile accesso. La Stazione Centrale, si sa, non è un capolavoro di rigore e di eleganza formale. Rappresenta tuttavia un esempio di architettura eclettica e monumentale che è diventata oggi la testimonianza storica di una determinata epoca, di un preciso gusto, di un particolare indirizzo estetico. Caratteristica architettonica della Stazione è la sua dimensione imponente, la grandiosità dei suoi volumi esterni ed interni, la opulenza dei dettagli ornamentali e degli elementi costruttivi. Con quale diritto il progettista si prende la libertà di frantumare gli spazi, di frazionare le superfici, di occultare le decorazioni? Perché tramuta in una vuota e deserta zona pedonale la maestosa galleria delle carrozze, intelligentemente studiata per accogliere e riparare dalle intemperie le carrozze (oggi le automobili) sia in arrivo che in partenza?

La risposta è una sola: progettisti, costruttori e finanziatori hanno ormai aderito al dilagante costume politico che cerca di ottenere profitti smodati (e da qui la valanga di lavori non necessari); e si compiace di offrire esibizioni spettacolari (e da qui la epidemia di architetture stravaganti), ma ignora finalità più sane ed elevate, cioè il raggiungimento di obiettivi culturali o sociali.