Aldo De Poli / CONTRO IL
RESTYLING DELLA STAZIONE CENTRALE DI ULISSE STACCHINI
Questo testo mostra come, improvvisamente, nel
silenzio della stampa e nel torpore della coscienza civile pubblica, possa accadere
che, in una grande città d’Italia, sotto gli occhi di tutti, prenda avvio un
colossale processo che cancellerà l’identità di una parte molto nota della
città.
Non si tratta solo della perdita fisica di un
luogo: come tanti, può essere amato o odiato, desiderato o dimenticato in
quanto parte di una vicenda urbana pur sempre viva. Si tratta invece della
prova certa di un avvenuto scacco intellettuale e di una secca sconfitta
culturale. Dall’intera storia qui ricostruita si dimostra come la cultura architettonica
non sia ancora in grado di dare il giusto valore ai più singolari spazi interni
prodotti nel corso della controversa storia del Novecento, fatte salve le
apparenze rappresentate dalla conservazione di un originale involucro esterno.
Si è di fronte a un evidente atto di amnesia e ad un segnale di palese
scollamento tra diverse attese sociali.
Da una parte c’è un’opinione pubblica popolare
che eccede nel mito ed esige, come a Venezia, la ricostruzione integrale di una
certa sala teatrale, dall’altra, come a Milano, c’è un’opinione pubblica colta
che sottostima del tutto l’integrità complessiva che caratterizza un
qualsivoglia monumento, sia esso un teatro invecchiato, un castello trasformato
in museo, un edificio moderno chiamato Arengario, ma anche l’innovativa e
dilatata galleria pensile collocata presso i treni, concepita come una lussuosa
piazza pubblica coperta. Dai fatti riportati, risulta chiaro che a Milano,
all’inizio di questo nuovo secolo, si torna come in passato a soffrire di un
male oscuro che convenzionalmente chiameremo “sindrome di Rovani”: essa
consiste nel privilegio di coltivare l’avversione verso i monumenti antichi. Le
dimostrazioni potrebbero essere molte.
Poiché mi considero un esperto di stazioni
ferroviarie, mi limiterò ad accennare alle manipolazioni di cui sarà vittima la
Stazione Centrale. Non solo perché apprezzo il treno che quasi ogni giorno
utilizzo, ma perché amo ancor di più la bella architettura. Per questo da
alcuni anni, nell’ambito dell’Università di Genova, conduco ricerche sulla
migliore architettura delle stazioni ferroviarie in Europa. Alcuni di questi
studi hanno portato alla preparazione del libro Stazioni. Architetture
1990-2010, curato da Cristiana Mazzoni e pubblicato nella collana di
monografie tematiche dell’editore Federico Motta. Proprio questo volume, uscito
nel novembre del 2000, ha il merito di avere, per la prima volta, presentato al
pubblico come anticipazione contenuta nella sezione Nuovi Scenari, disegni
significativi di questo progetto di radicale trasformazione della Stazione
centrale di Milano, coordinato dall’arch. Tamino, oggi in discussione. Oltre,
naturalmente, a diffondere una buona documentazione fotografica e progettuale
sulle trasformazioni già realizzate nell’ala mazzoniana della Stazione Termini
di Roma.
Curiosi sono i legami che uniscono due città
culturalmente così diverse come Roma e Milano. Il caso ha voluto che la città
capitale, dove più forti sono da sempre le memorie classiche e più consistenti
gli edifici monumentali carichi di storia e di arte, si ritrovi oggi un
edificio della stazione sobrio, razionale, modernista, e indirettamente di
facile trasformazione. All’opposto, proprio la città dell’industria, della
produzione e della trasformazione possiede la stazione dalle forme più
compiute, più smisurate, dal più dichiarato carattere monumentale, con tutto
quel che ne consegue in termini di inadeguatezze funzionali e di futuri
vincoli.
Ora un progetto di radicale modifica sta per
investire la Stazione centrale di Milano, concepita dall’origine come un
complesso spazio cavo al‘coperto, esteso e decorato come un superbo edificio
termale, molto sovradimensionato secondo la tradizione degli antichi.
Per usare un’immagine di facile comprensione,
con il nuovo progetto si vuol passare da una sorta di classica sequenza di
piazze coperte sviluppate su due soli livelli, il piano inferiore della strada
e il piano sopraelevato della rotaia, ad un pittoresco e concitato edificio
commerciale, attrezzato per la partenza, la sosta, lo shopping, i consumi, le
feste e i divertimenti,‘articolato su almeno cinque livelli. Visto in sezione,
sarà concepito come un nodo di scambio di percorsi, un astratto punto di
attraversamento posto alla congiunzione di un banale reticolo di corridoi,
gallerie, ascensori, scale mobili e balconate.
Il tutto senza apparentemente modificare la facies
monumentale dell’involucro esterno, dalla vistosa configurazione mistilinea, ma
già espressione di un’autorevolezza antica che ha oltre ottant’anni di storia.
Non è certamente la prima volta che in Europa la
pressione del commercio investe un luogo di vita pubblica. Basti a pensare a
quanto avviene tuttora sotto, dietro, nelle adiacenze, nei piani sotterranei,
nei piani elevati degli antichi edifici che delimitano le bellissime piazze
storiche d’Italia. Le stesse trasformazioni coinvolgono corridoi di aeroporti,
atri di ospedali, foyer di teatri, hall di alberghi, spazi di accesso a quasi
tutte le costruzioni di più recente realizzazione.
Si può affermare che mentre un tempo era la
residenza a contraddire un rigido principio d’uso monofunzionale dello spazio
collettivo (il re abitava nei palazzi della politica, i mercanti nei padiglioni
della fiera, gli alunni nei chiostri
dell’istituzione formativa, persino i galeotti erano alloggiati nei
luoghi della produzione) oggi è il commercio che s’incarica di pervadere tutto,
per assicurare ovunque un palese ed esaltato principio di raggiunta varietà
sociale e di contraddittoria multifunzionalità.
Quello che, ahimè, risulta poco lungimirante
nella ben orchestrata operazione di trasformazione fondiaria in corso alla
Stazione di Milano, è il cieco accanirsi su pochi e singolari luoghi fisici di
evidente bellezza e unicità: le quattro o cinque sale d’ingresso e la Galleria
degli arrivi, ambienti che occupano uno spazio minore rispetto ai dilaganti
spazi tecnici presenti nel complesso di questa opera architettonica dai
profondi meriti costruttivi. Quelli coinvolti dal progetto sono luoghi
singolari che si presentano per scelta come spazi di dichiarata monumentalità,
e allo stesso tempo si caratterizzano come frammenti urbani ben definiti, parte
del patrimonio degli spazi pubblici facilmente raggiungibili della città. Al
pari di questi, evocano ineluttabilmente emozioni collettive, memorie, gusti e
culture storiche.
L’intera operazione inizia con un clamoroso
errore di valutazione. Da parte della committenza c’è un evidente deficit
culturale, l’incomprensione verso un profondo valore che non è più
esclusivamente economico, ma è anche il segnale della reale qualità della vita
sociale di una città. E’ evidente come fin dall’inizio ci sia una meschina
volontà di confondere l’attitudine trasformativa di molti locali a vocazione
industriale, ora abbandonati, la volontà di non intervenire nei vastissimi
spazi di servizio sotterranei, ora inutilizzati, che nel loro insieme
costituiscono i diciotto/ventesimi della cubatura complessiva dei fabbricati
della Stazione Centrale. Tutto questo per infierire ciecamente in pochi luoghi
già formalmente conclusi ma del tutto incompresi dalla committenza, ciascuno
sapientemente evocativo di una fase precisa della nostra recente storia
sociale.
E tutto per non aver saputo cogliere il valore
dell’integrità che può esprimere un monumento come quel complesso così unico,
che tanto impressionò l’architetto americano Frank Lloyd Wrigth, il quale,
durante il suo unico soggiorno a Milano, lo definì la più bella stazione
ferroviaria del mondo.
Mentre a Milano si attua questa infelice
parcellizzazione, altrove, negli scali portuali d’Europa e d’America si procede
in senso opposto: si conservano come musei i vuoti saloni impregnati di vicende
umane delle moderne Stazioni marittime, si riapre la Grand Central Station di
New York perfettamente salvaguardata e in tante stazione europee nel XIX secolo
fra le più significative, si allarga la dotazione di servizi collettivi.
Nel rozzo programma italiano di investimenti
immobiliari proposto da Grandi Stazioni, è lo stesso spazio architettonico - un
bene collettivo di per sé come lo è il paesaggio naturale - che viene
parcellizzato, banalizzato, venduto. Sottraendo eleganza, autorevolezza e
qualità anche ad uno dei pochi luoghi d’arte del XX secolo, che allo stesso
tempo può essere considerato uno dei cantieri esemplari dove si è espresso al
meglio il genio costruttivo italiano.
Mentre altrove, scavando nelle piazze antistanti
e riutilizzando fabbricati dimenticati senza più funzione, abilmente, il
commercio viene fermato alle porte del Tempio delle partenze e degli arrivi, in
Italia all’interno di edifici storici dagli equilibri delicati come in un
museo, si apre la corsa alla reinvenzione, consapevole, di ambigui ambiti
monofunzionali, destinati ad essere classificati come “non luoghi”. A causa di
una mal verificata euforia produttivistica, si attua un folle disegno anche sul
piano di una lungimirante politica commerciale. Si tenta, con mezzucci dai
risultati modesti, di intercettare migliaia di individui. Ci si vanta pure di
riuscire a far deviare e a trattenere un immenso flusso di folla, trasformando
ogni frettoloso viaggiatore in un potenziale appagato acquirente. Le cifre
reali di 120 milioni di passeggeri annui che convergono a Milano, fanno venire
i brividi. Se non altro quando si pensa che oggi questa enorme massa defluisce
lungo larghe scalinate e maestose piazze-sale coperte alte 15 metri, mentre in
un prossimo futuro verrà di proposito incanalata in un anonimo reticolo di
stretti corridoi e di piattaforme sostenute da pannelli standardizzati di 3,40
metri d’altezza.
Rispetto alle iniziative che si stanno
promuovendo in altre città europee, manca del tutto una cultura dell’intervento
progressivo, che parta dalla comprensione della realtà storica. E manca una
ponderata tensione civile verso il benessere pubblico. Ben diverse sono le strategie
urbane che si sperimentano in Europa sul tema dell’architettura ferroviaria. Le
alternative oggi sono due. Si può promuovere una stazione dall’architettura del
tutto nuova collegata ai nuovi impianti posti all’esterno della città,
configurando il nuovo edificio come un nodo di interscambio tra reti di
trasporti, a partire spesso dalle linee dell’alta velocità, come è avvenuto in
Germania, Olanda e Francia. In alternativa, si interviene su stazioni già
esistenti, con almeno un secolo di storia e con testimonianze di vita civica
molto radicate, valorizzando spazi d’uso, restaurando antiche sale di
rappresentanza, migliorando l’accessibilità e, soprattutto, accorciando
all’estremo la lunghezza dei percorsi.
La stazione, un tempo suburbana ora centrale,
assieme a piazze, musei, luoghi della cultura, luoghi del mercato e luoghi del
tempo libero, continua così a rappresentare uno dei simboli della città
moderna. Così avviene tutt’oggi per le stazioni di Londra e per le stazioni di
Parigi o per la stazione di Atocha, a Madrid, tema di un complesso e ben
articolato progetto urbano e architettonico di raddoppio delle sedi voluto da
Rafael Moneo. In questo caso una nuova stazione si affianca all’esistente.
L’invaso al coperto della vecchia stazione della fine del XIX secolo è stato
recuperato e trasformato in giardino botanico al coperto, mentre una nuova
stazione è rinata a poche centinaia di metri.
Radicalmente diversa è la linea di comportamento
seguita nel caso della Stazione di Milano, che già di per sé è un esempio unico
in Italia. Prima di tutto per la grandissima dimensione: l’area occupata dalle
superfici coperte è di 316.000 mq. Poi per la perfetta soluzione compositiva di
inizio secolo, derivata dall’adozione di un preciso principio tipologico impostato
sulla presenza, possibile solo in una stazione di testa, di una lunghissima
Galleria dei passeggeri. C’è qualcosa di simile solo a New York, a Francoforte
e a Lipsia. E’ unica anche per il bizzarro pastiche di gusto eclettico che in
ogni parte esprime, con marmi veri e marmi finti, cornici vere e fregi dipinti,
con la continua commistione tra le discordanti eredità del classicismo, dello
storicismo, dell’art nouveau, del deco. Persino per la compresenza di
decorazioni tardofuturiste di Marcello Nizzoli che fanno da sfondo ad arredi
storicisti e modernisti assieme, disegnati dallo stesso progettista Ulisse
Stacchini.
Il programma operativo per Milano prevede di
costruire un nuovo edificio dentro un altro, dando vita ad una dolorosa
compromissione. Il nuovo intacca il vecchio, il che non è di per sè un male. Il
problema è che qui ne mette in discussione il senso profondo. Per quanto
innovativo e globale il progetto si sofferma, in un certo senso, solo su un 20%
dell’esistente, manipolando radicalmente le poche sale di altissima qualità,
persino nel loro gusto eclettico: la Galleria delle carrozze, l’Atrio della
biglietteria, la Galleria degli arrivi fin dal principio concepita come una
singolare piazza sospesa sopra il livello della città. Originariamente non
c’erano né l’ufficio informazioni, né il bar, ma sei grandi finestre, oggi
nascoste, che si aprivano sulle due piazze laterali: la bellezza di questa
galleria sospesa, tracciata con le dimensione delle antiche sale delle Terme
romane, consisteva proprio nel fatto di aprirsi su tre piazze.
Chi oggi ha progettato di perforare, soppalcare
e ridimensionare una sala così singolare, che a Milano fa visivamente pensare
alla spazialità della Galleria Vittorio Emanuele, preso il Duomo, dimentica
quante altre possibilità di relazione esprime il progetto architettonico quando
riesce a stabilire strette relazioni con gli spazi urbani che lo circondano.
Se pur aggressivi, quasi sempre i progetti di
trasformazione commerciale riguardano spazi collocati davanti o attorno ai
monumenti, ma quasi mai bucano o corrodono così profondamente edifici di alta
qualità storica e architettonica come sta per accadere alla Stazione di Ulisse
Stacchini.
Per poter garantire questa operazione sono
necessarie ambigue procedure ad hoc. Ancor oggi, il destino finale dell’intero
progetto non è ancor noto. Si è seguita una procedura che non è tra le più
facili, dove il vero progetto, con i suoi 500 elaborati, è stato molto poco
mostrato in pubblico. Forse solo in Conferenze nazionali dei Servizi. Non è
arrivato ad alcun consiglio comunale o commissione edilizia. Il suo avvio è
stato deciso dal Ministero delle Infrastrutture in una riunione con
interlocutori scritti: non è senz’altro questa la procedura più aperta e più
ricercata per avere un largo consenso sulle finalità del progetto. L’inedita
procedura seguita, senza informazioni alla città, senza autorizzazioni comunali
e senza dettagliati esami da parte delle Sovrintendenze, è stata resa possibile
grazie alla legge Obiettivo.
Dispiace accorgersi come a Milano, a differenza
che altrove, il promotore non voglia mostrare, e far proprio, il bello
spettacolo dell’innovazione, temendo che da un confronto pubblico possa
emergere che un tale nuovo, malgrado tutto, non comporta nuova qualità e non
arricchisce la città di nuova identità.
Poiché la Stazione non è in questo momento
sottoposta ad un intero progetto di riuso e di miglioramento, e proprio perché
si è evitato di esaminare l’intero edificio con tutte le conseguenti relazioni
urbane, c’è il forte rischio che un luogo già di qualità diventi rapidamente un
“non luogo”. Un tale rischio è sempre possibile in un’ipotesi di trasformazione
iniziata malamente e condotta a metà, come è avvenuto per certi spazi al
coperto o mezzanini e scantinati commerciali presenti in tutte le grandi
metropoli come alle Halles a Parigi. Con un poderoso tonfo economico, di forte
impatto sociale, rispetto ai primitivi propositi di lauti e rapidi guadagni.
Se si perde di vista programmaticamente la più
elementare aspirazione di aumentare la qualità architettonica della città,
recuperando i suoi vecchi monumenti e arricchendola con altri nuovi. Se il fine
è solo quello di catturare, sedurre e dare risposte mercelogiche a cento
milioni di visitatori, dal grande cratere che sta per aprirsi al centro della
Galleria dei passeggeri non può che emergere un dato epocale che fa molto
pensare. A questo punto, allora, non ci si dovrebbe più interessare di oggetti,
ma si dovrebbe parlare piuttosto di valori. Perché qui sono in gioco proprio i
valori.
Un filosofo americano ha recentemente affermato,
che negli anni Sessanta contava “il gruppo”, negli anni Ottanta “l’individuo” e
che i prossimi anni Duemila-Deumiladieci saranno caratterizzati da una netta
contrapposizione: o “Dio” o “il dollaro”, in pratica: o gli integralismi o i
profitti.
Come europeo, penso che possiamo avere di più.
Il filosofo tedesco vivente Erzensberger ha affermato che il lusso del futuro
non sarà costituito dai beni, ma dalla grande disponibilità di spazio e di silenzio.
Abbiamo oggi una stazione molto vasta, che
accoglie spazi maestosi e ancora silenziosi, quindi abbiamo già il lusso. Per
inseguire mestamente il dollaro imponendo il paradiso del mercato a cento
milioni di passeggeri, rischiamo di perdere per sempre quella consapevolezza
del lusso collettivo, che da ora in poi rappresenterà un bene sempre più raro.
11 gravi manomissioni
di un edificio: il progetto di grandi
stazioni
Vestendo i panni del rappresentante di una
categoria professionale che analizza le qualità di un nuovo progetto per conto
della sua città, mostrerò, in 11 punti, le radicali novità che comporta
l’attuazione del nuovo colossale intervento approvato in via amministrativa il
14 marzo 2003: il primo punto riguarda lo stravolgimento dell’attuale viabilità
con l’allontanamento dei posteggi dei taxi; i 6 punti successivi sono dedicati
all’ingiustificata manomissione di un edificio vincolato e gli ultimi 4 punti
prendono in esame i seri disagi creati per sempre all’utenza, con la chiusura della
storica via d’ingresso principale al fine di valorizzare le due entrate di
accesso laterali.
1.
L’allontanamento
dei posteggi dei taxi
Il progetto Grandi Stazioni prevede lo
stravolgimento dei sistema viario attraverso l’allontanamento dell’attuale
posteggio dei taxi dall’uscita della Galleria di testa e la sua ricollocazione
ai lati delle facciate est ed ovest dell’edificio. Un sistema di pensiline (che
nel caso della facciata ovest si appoggia alla facciata!) dovrebbe delimitare
le nuove aree taxi. Le distanze binari-taxi raddoppiano con evidenti disagi per
i passeggeri.
2. La pedonalizzazione della galleria delle
carrozze e le rampe mobili di accesso alla metropolitana.
Il nuovo progetto di Grandi Stazioni parte
dall’obiettivo evidente di incentivare l’attraversamento di un flusso
incessante di folla all’interno di una sorta di grande magazzino a più livelli.
Così com’è stato già segnalato da Marco Biraghi nell’articolo Supermarket
Milano Centrale pubblicato da Casabella nell’aprile 2003.
L’estensione delle rampe mobili non rappresenta una soluzione, bensì è il
centro del problema. La chiusura del percorso d’ingresso, che oggi passa
attraverso l’atrio delle biglietterie, implicherà una radicale modifica d’uso
anche della Galleria delle Carrozze o stravolgerà il facile accesso ai taxi. Il
progetto finora noto resta qui assai sfumato. Ciò lascia ancora molti dubbi che
verranno sciolti solo tra 4-5 anni, a lavori finiti, quando sapremo quale sarà
il vero destino di uno spazio così unico e così carico di una forte identità
architettonica.
Una soluzione di maggior buon senso sarebbe
quella di limitarsi al riuso dei molti spazi sotterranei ora non utilizzati e
abbandonati al degrado sociale. Senza colossali disegni si potrebbe recuperare
subito quasi un intero piano che si trova sotto la Galleria degli arrivi e in
continuità con il piano terra. Ma la proposta presentata da Grandi Stazioni non
è del tutto chiara. Volutamente non è stato mai presentato un progetto
complessivo per il recupero dell’intera sequenza di edifici accostati che
compone la Stazione dello Stacchini, con la sua enorme disponibilità di spazi,
ma solo parziali stralci. Ciò fa pensare che in realtà ci siano altri piani di
sfruttamento immobiliare dell’intero isolato, se non dell’intero quartiere, già
decisi, che non sono ancora stati mostrati.
3. La misteriosa bussola che chiude l’attuale
accesso alla stazione.
Oggi si accede alla stazione attraverso sette
ingressi monumentali, tre dei quali collegano la Galleria delle carrozze
all’Atrio delle biglietterie: sono queste le vere porte di Milano. Nel
discutibile progetto di Grandi Stazioni questi tre ingressi vengono chiusi da
una bussola, che si presenta come una smisurata vetrina, come un paramento
luminoso, come un improbabile schermo pubblicitario. La barriera vetrata vuole
scoraggiare ingresso centrale per favorire quelli laterali.
Si prevede anche di trasferire definitivamente
le biglietterie definite nelle tavole “servizi primari”, quindi attività
complementari ai “servizi secondari”, termine con il quale vengono denominati i
negozi. Un curioso destino che finge di privilegiare una pubblica utilità,
impedisce di utilizzare nelle relazioni e nei conteggi il termine più realista
di “attività commerciali”.
4. Le biglietterie laterali invase dai soppalchi
Nel nuovo progetto di Grandi Stazioni sono
previste molte modifiche per i locali a piano terra, accanto all’Atrio delle
biglietterie. I locali con i servizi al viaggiatore verranno allontanati. Al
loro posto, dobbiamo immaginare quattro grandi megastore, articolati
internamente su molti livelli. Non più i due livelli attuali, ma cinque, o
forse più, piani d’uso. Attrezzati per mettere in vendita cibi, abiti, articoli
sportivi.
Non è stata ancora abbastanza definita la
qualità architettonica ed estetica dei nuovi tramezzi, né dei soppalchi, né
delle pareti fisse. Non si conoscono neppure le nuove proporzioni dei locali di
servizio e degli ambiti di passaggio. Si ricorda solo che oggi tra il piano di
entrata, alla quota della galleria delle carrozze o taxi, e il piano del ferro,
cioè quello dei binari, c’ è un volume alto 7,40 metri che sarà “sapientemente”
suddiviso in porzioni orizzontali rovinando l’integrità di un’antica sequenza
di stanze monumentali. Saranno ricavati vari piani alti circa 3,40 metri, una
misura che non può essere considerata di buona qualità spaziale. Si prefigurano
spazi con una vivibilità addirittura inferiore a quella di molte stanze
pubbliche in cui oggi viviamo o lavoriamo quotidianamente. La stessa misura si
ripeterà nei corridoi di attraversamento per tutti i quattro piani. Purtroppo
per milioni di passeggeri, sarà essa a definire, nel futuro, l’altezza
delle nuove porte di accesso alla città
di Milano.
5. Luci al neon e ingombranti vetrine per le
nuove balconate commerciali verso i binari
Nei modelli presentati tutto sembra trasparente.
Invece, un nuovo piani di ingombranti botteghe taglierà la base delle grandi
arcate che separano la Galleria degli arrivi dalle cinque superbe coperture a
volta, erette a protezione dei binari. A parte il risultato estetico, che sarà
del tutto diverso da quelle amabili simulazioni presentate da Grandi Stazioni
nelle tavole di progetto (con immagini che inducono a pensare alle terrazze di
un elegante club nautico o al tetto di un vecchio aeroporto turistico), la
presenza di nuovi soppalchi, con i conseguenti vistosi ingombri di vetrine e di
negozi, comporta un forte rischio di alterazione per le numerose decorazioni:
cornici, fregi, marmi ed affreschi ornamentali che caratterizzano la poetica di
Ulisse Stacchini. Con queste scelte ci si allontana per sempre da un’altra
legittima ipotesi che non è stata neppure presa in considerazione: quella di
restituire integralmente alla stazione l’immagine perduta. Per una conoscenza
scientifica del monumento si dovrebbero innanzitutto cancellare quei provvisori
bar trasparenti collocati all’arrivo dei treni, quella strana fontana diventata
oggi un ufficio turistico, ricollocare meglio quei mosaici appesi e pensare al
ripristino e alla valorizzazione della situazione d’origine.
La stessa sorte, di dover accogliere
forzatamente dei piani commerciali, è prevista anche per le due corte pareti
poste a chiusura della Galleria degli arrivi. Anche qui si aggiungono soppalchi
e tramezzi invece di eliminare il banale ingombro rappresentato dall’attuale
ufficio delle informazioni e dell’inelegante gran caffè. Al contrario, andrebbe
recuperato il primitivo e ricercato senso di trasparenza, assicurato dalle
originarie sei aperture luminose, volute nel mezzo delle due pareti di fondo.
La ricerca di una stretta continuità tra la grande Galleria urbana sopraelevata
e le due piazze laterali al piano stradale è un tema essenziale della
concezione profonda del progetto iniziale.
6. L’apertura di una voragine nella galleria
degli arrivi
Una bella immagine ci mostra come si presentava
la galleria nel 1931, poco dopo l’inaugurazione. E ci ricorda che, dopo la
Galleria Vittorio Emanuele al Duomo, questa
è certamente la seconda suprema Galleria della città,
un luogo emblematico e irrinunciabile della storia e della vita pubblica di Milano. Proprio in questo
preciso punto, al centro della sala progettata per ricordare la solennità delle
Terme romane, avverrà la trasformazione più violenta e più dolorosa dell’intera
operazione di manomissione di un monumento vincolato. Verrà rimosso il
pavimento in mosaico e aperto un grande buco per illuminare i piani sotterranei
e per far emergere le nuove percorrenze rappresentate dalle scale mobili. Al
centro ci sarà una voragine concepita come snodo funzionale a spirale, nel
punto di convergenza di tutti i percorsi: uno sconquasso considerato necessario
per mettere in moto l’intero processo di trasformazione. E’ evidente come
l’impatto sull’antica fabbrica sarà devastante. Mettere al centro un assurdo
“buco nero” rappresenta una radicale inversione di senso. Gli stessi attuali
progettisti ne sono coscienti. Tanto è vero che si sono trovati costretti a
diffondere immagini di prefigurazioni più delicate e poco realiste. Altri
architetti hanno però compiuto una semplice verifica dimensionale a partire
dalle planimetrie messe a disposizione dal Consiglio di Zona. Ebbene, ne è
emersa la vera dimensione del “buco”, e la certezza che nell’elegante sequenza
di trasparenze contenuta nel fotomontaggio diffuso da Grandi Stazioni, non
siano state riportate le giuste misure, quelle vere. Si è ingenuamente cercato
di dimostrare che l’intervento non è invasivo. Ma in un’altra prefigurazione,
qui posta a confronto, è stato invece tracciato il vero ingombro, con la
delimitazione dell’intera estensione richiesta dal “buco”. Alla fine l’impatto
sarà, forse, ancora più molesto: per ragioni di sicurezza, ci saranno centinaia
di metri di nuove balaustre, poco trasparenti e molto più robuste, quindi
ancora più vistose.
7. La perdita dell’integrità architettonica
delle 4 sale al piano del ferro.
Sull’esempio delle moderne Stazioni di
Francoforte e di Lipsia, il progetto di Ulisse Stacchini prevedeva quattro
grandi sale a livello del piano pedonale dei binari, destinate ad accogliere
fondamentali servizi per i passeggeri. Queste sale esistono tuttora, anche se
gli usi sono in parte mutati. Percorrendo la Galleria da ovest ed est,
s’incontra l’ex Sala ristorante di terza classe ora Deposito bagagli, l’ex Sala
d’attesa di terza classe ora Club Eurostar, l’ex Sala d’attesa di prima e
seconda classe (che accoglie ora l’ufficio del turismo, lo spazio Telecom e
vari negozi come quello di pietre fossili) e infine l’ex Sala ristorante di
prima e seconda classe ora chiusa e inutilizzata.
Nel progetto di Grandi Stazioni, in ognuna di
queste quattro eccezionali sale, alte ciascuna una quindicina di metri, si
prevedono vistosi soppalchi che modificano profili e proporzioni. Questo
comporta un indubbio rischio per gli affreschi e per i partiti decorativi.
Secondo semplici considerazioni funzionali, altri guasti deriveranno dalla
necessità di creare ulteriori passaggi e scale per raggiungere le nuove quote.
Una serie di simulazioni visive, qui allegate,
permette di stabilire un diretto confronto tra la situazione originaria della
sala e la trasformazione futura. L’inserimento del nuovo solaio a circa 3,40
metri dall’attuale piano di calpestio, più un metro circa di spessore tecnico,
in uno spazio dilatato fino a 15 metri d’altezza, provocherà la penosa
fruizione a due spazi angusti sovrapposti, occupati dalle vetrine delle nuove
attività commerciali. Due modi d’uso di elementare semplicità ma sufficienti a
far scomparire l’immagine solenne e decorosa di quattro navate che alludono ad
antiche basiliche. Mi sono chiesto con quali materiali verranno costruite tali
moderne superfettazioni, con gli stessi marmi veri o finti dello Stacchini? La
risposta è venuta da un articolo pubblicato su “L’Espresso”, una specie di auto-intervista
che l’architetto Tamino ha rilasciato nel novembre 2002, dove dice che per
ragioni di economia aziendale, cioè di corporate identity o di
massimalizzazione dell’uso delle componenti tecnologiche, tutti i materiali
edilizi saranno comuni a tutte le trasformazioni di stazioni che vengono
simultaneamente progettate da Grandi Stazioni. Con quali conseguenze nella
qualità architettoniche? Vedremo ovunque gli stessi soppalchi, magari prodotti
da un’unica ditta, in tutte le principali 13 stazioni d’Italia. In questo modo,
un eccelso luogo di elaborazione di moderni miti qual è il museo della partenza
e dell’arrivo, può rapidissimamente diventare un “non luogo”. Sarà considerato
una specie di anonimo corridoio, un ambito caratterizzato da modi di vita di
banale livello oppure, addirittura, come sostiene Francesco Dal Co, diventerà
un junkspace, un luogo spazzatura, un triste fondo di scena di cui non abbiamo
minimamente bisogno.
Con la serrata esibizione di merci e prodotti
esposti andrà così perduta l’integrità della sala d’attesa, con le sue grandi
decorazioni parietali dedicate alle città d’Italia, tracciate ad ispirazione
delle stazioni francesi, quale la Gare de Lyon. Saranno tranciati i dipinti di
Marcello Nizzoli, pittore futurista, architetto e designer, che mostrano le
città di Padova, Assisi, Pisa, Napoli, Bologna, Trieste. Andrà pure perduta la
vista della sala ristorante con gli affreschi un po’ dimenticati che
completavano il ciclo celebrativo di Pietro Lavagnini, una raffinata
testimonianza d’arte che rendeva la stazione qualcosa di più di un luogo di
partenza: una sorta di monumento evocativo della cultura milanese.
Le modifiche dei
percorsi di accesso e i disagi per l’utenza.
8. Raddoppia la lunghezza dei percorsi per i
viaggiatori
Mediante varie operazioni riportate nelle
tabelle allegate è stata calcolata la lunghezza del percorso che oggi compie
ogni passeggero per recarsi dalla metropolitana ai binari: 178 metri. Nel
progetto di Grandi Stazioni il nuovo percorso si allunga a 332 metri, misurati
sempre dagli stessi punti finali, passando sia di sopra sia di sotto, ma
utilizzando l’entrata laterale e procedendo prima attraverso il nuovo varco,
poi attraverso i tapis roulant o le rampe mobili. Ecco un primo fattore di
disagio. I tratti verticali e orizzontali non sono più messi in sequenza
diretta: perché il grande fine dell’intera operazione non è di condurre milioni
di viaggiatori ai binari, ma di forzare milioni di consumatori a rigirare negli
spazi sempre più dilatati di un ipermercato.
Un’analoga situazione emerge dal calcolo della
lunghezza del percorso attuale misurato dal punto di arrivo dei taxi, ora nella
Galleria delle carrozze, all’inizio dei binari: 129 metri. Nel progetto di
Grandi Stazioni il percorso si allungherà a 207 metri, calcolati a partire
dalla nuova postazione dei taxi spostata alla fine di una pensilina esterna
lunga oltre sessanta metri, fino all’inizio dei binari. In pratica, il percorso
è quasi raddoppiato in termini di distanza. Non è invece calcolabile l’aumento del
tempo che sarà necessario per raggiungere i binari, dato l’obbligo di
attraversare i luoghi dello shopping. Ecco un secondo fattore di disagio.
E’ stata anche calcolata la lunghezza del
percorso inverso: dall’inizio dei binari alla più vicina fermata dei
taxi, nella Galleria delle carrozze. Oggi, attraverso le scale mobili, si esce
molto rapidamente attraverso un percorso di 162 metri. Dall’esame degli
elaborati che presentano il definitivo assetto urbanistico degli spazi pedonali
e le previsioni di uso della piazza circostante, che costituiscono parte
integrante del nuovo progetto di Grandi Stazioni, la lunghezza del percorso di
uscita, dai binari alla fermata dei taxi posti in Piazza Luigi di Savoia e in
Piazza 4 novembre, presso le nuove entrate della stazione, diventa di
280 metri. Con ulteriori complicazioni, perché sono previsti due punti diversi
di arrivo, di carico e scarico dei taxi differenziati.
La tabella conclusiva dimostra come la scienza
esatta possa ancora fare qualcosa per aiutare il cittadino nella comprensione
del progetto. Sono stati contati e ricontati tutti i percorsi, e sono stati
confrontati tutti i dati emersi con quelli dichiarati dal progetto di
trasformazione. La differenza in percentuale diventa un incremento del 123% per
il percorso dalla metropolitana, del 82% dai taxi, e del 90 %. dal lato della
Piazza Luigi di Savoia.
Conclusioni simili si ricavano calcolando i
tempi impegnati. Nell’assai poco limpido prospetto proposto dai progettisti si
è cercato di fare intendere che chi è trasportato dal tapis roulant si deve
inconsciamente considerare come un soggetto in movimento. Ne risulta il
paradossale esito, vistosamente antiscientifico, che malgrado il percorso si
sia allungato, talvolta anche raddoppiato, i tempi impiegati rimarrebbero, in
pratica, gli stessi di prima.
9. Più code agli sportelli: si riduce il numero
delle biglietterie
Secondo le intenzioni ben esplicite del nuovo
progetto approvato, le biglietterie sono collocate al piano terra, nel punto
interno più inaccessibile e più lontano da tutti gli ingressi, in una posizione
poco convincente, che si trova addirittura sotto il piano della massicciata dei
binari. Tale meta obbligata è illuminata dall’alto da una luce indiretta, che
spiove dal nuovo “buco”, proveniente da lucernai distanti circa trenta metri.
Il disagio per il viaggiatore sarà notevole. Non solo si perdono punti in
termini di accessibilità, ma addirittura si riducono in superficie, in
estensione e in numero, gli sportelli aperti al pubblico. Forse nel futuro, in
tempo di internet, le lunghe code allo sportello sono da considerarsi rituali
sociali superati. Ma certo non saranno esaurite tanto presto le file che si
prevedono davanti alle nuove casse, poste alla fine dei percorsi commerciali.
Altra sicura causa di forte disagio per l’utenza.
10. Uno spazio sottratto alla collettività:
l’atrio delle biglietterie
L’attuale atrio delle biglietterie perderà la
sua forte qualità urbana legata all’originaria funzione di luogo di
attraversamento e di attesa al coperto. Sarà anche reso poco accessibile e
mascherato dalla colossale vetrina-schermo. Nel futuro sarà trasformato in una
rarefatta sala milanese disponibile per eventi di qualità. La relazione di
Grandi Stazioni allude a banchetti, convention, sfilate di moda, esposizioni.
Per qualsiasi uso diverso, dettato da principi di produttività, saranno
necessari nuovi progetti di trasformazioni, per ora non rivelati. Certamente il
disegno del suo perimetro interno non potrà restare a lungo così com’è adesso.
Nei fatti, nel futuro, alla sala si accederà solo a pagamento determinando la
perdita di un importante spazio per la collettività.
11. Come si trasforma un monumento in un grande
magazzino
Nel nuovo progetto di trasformazione le
superfici a disposizione per gli spazi commerciali, che sono ambiguamente
chiamati “servizi secondari ai viaggiatori”, vengono raddoppiate. A parte i bar
e i ristoranti indicati nelle tavole, si parla di magazzini e di vendita di
abiti, di articoli sportivi, di agenzie di viaggio e di sportelli bancari. Dai
13.886 mq. di oggi si passa ai 26.303 mq. del domani, con un aumento dell’89%. Nel calcolo dei 13.886 mq sono compresi
anche spazi chiusi da anni come il Diurno, il Cinema, e il Ristorante. Il piano
sotterraneo non viene utilizzato come si potrebbe, mentre la maggior parte dei
nuovi spazi è ottenuta grazie ai soppalchi al pianoterra (+ 3300 mq) e al piano
del ferro (+ 3218 mq).
E’ evidente che il finanziamento dell’intera
operazione in project financing (due anni fa erano 80, ora sono 100 milioni di
euro) è ottenuto facendo leva sugli affitti degli spazi commerciali.
Oggi tra dipendenti ferroviari, negozianti,
addetti ai servizi e alla sicurezza lavorano nella Stazione Centrale circa 5000
persone. Nel futuro le presenze attive in quella che si prefigura essere una
sorta di nuova città degli affari, aumenteranno ancora. A progetto realizzato,
gli spazi commerciali, denominati nel gergo dell’innovazione “servizi al
viaggiatore di seconda utilità”, saranno aumentati dell’80% al livello del
piano interrato, del 297% al piano terra, del 268% all’ammezzato, del 68% al
piano dei binari. In generale, a trasformazione finita, saranno aumentati in
media del 89%. Quindi si può ben prevedere che grazie ai nuovi soppalchi,
forzatamente creati nei diversi anfratti
del silenzioso monumento vincolato, raddoppieranno sia le attività che la
congestione. Come per ogni piccolo frammento di metropoli che si trasforma,
aumenterà l’affollamento, il logoramento delle strutture e il rischio di danni
imprevisti.
Lo storico privilegio dell’avversione ai
monumenti: una tradizione milanese
Dopo i recenti interventi effettuati al Teatro
della Scala, già ricordati nelle pagine del precedente numero di questa rivista,
è necessario, alla fine, porsi una domanda. Come può accadere che la città di
Milano nel suo complesso, con i suoi cittadini, i suoi intellettuali, la sua
stampa e la sua classe dirigente, possa oggi, per davvero, per qualche attimo,
smettere di comprendere il valore della memoria e del silenzio, non apprezzare
la grande qualità artistica dei luoghi antichi e moderni, smettere di farsi
vanto dell’unicità irripetibile di taluni spazi architettonici singolari e
inconsueti?
Resta pur sempre un dubbio. Quando l’avvenire
della città viene brutalmente posto di fronte ad esplicite leggi dell’economia,
a Milano la cultura tace. C’è chi resta addirittura ammirato da questo franco
scontro tra titani e chi, invece, teme di essere giudicato corresponsabile del delitto
ideologico di lesa maestà contro la solare autorità del buon investimento
finanziario. A queste condizioni il dissenso non diventa neppure beffa o atto
politico, ma si interiorizza e sopravvive come esitazione, dimenticanza,
rimpianto di altre lontane occasioni perdute.
Come diretta conseguenza della sindrome di
Rovani, resiste un previlegio: un irrisolto fattore di ammirazione
intellettuale verso le fratture che il progresso comporta.
L’architetto milanese Aldo Rossi, senza dubbio
colto scrittore, così riportava nel suo saggio Milano. Architettura della
città: «Riprendendo la polemica del Cattaneo per la difesa dei monumenti
antichi iniziata con il bellissimo articolo del “Politecnico” del 1839,
Giuseppe Rovani nella “Gazzetta” del 1856 scriveva: la nostra città ha in
proprio da gran tempo un triste privilegio, il privilegio dell’avversione ai
monumenti antichi».
Questo può spiegare come possa accadere ancor
oggi che tra i cittadini e gli intellettuali si manifestino momenti di amnesia,
o venga provvisoriamente meno una positiva tensione verso un più generale
interesse civile.
La città cambia e i fronti in movimento sono
molti. Da qualche tempo, per esempio, al mito della percorribilità viabilistica
si è sostituito quello della commerciabiltà degli spazi liberi posti al
coperto. La speculazione finanziaria, mascherata da innovazione, ha iniziato ad
aggredire i cavi ed eleganti volumi di tanti spazi interni di qualità,
progettati intorno alla metà del secolo scorso. Ad uno ad uno si stanno
perdendo i razionali interni di vecchie fabbriche, ma anche le nitide sale di
piccoli cinema di quartiere ormai in disuso. Così si cancellano persino le
luminose e ancor funzionanti agili rampe di moderni garage.
Oggi corrono forti rischi anche spazi ben più frequentati e tenuti meglio in osservazione. Che ne sarà fra qualche anno della spoglia sala Rondanini al Castello Sforzesco, delle vuote torri dell’Arengario, dei muti volumi di molti edifici di Giovanni Muzio, a cominciare dal Palazzo dei giornali, o delle eclettiche, ma pur sempre poco visibili quinte a più piani che delimitano la stessa elogiata Galleria, l’affollato cuore di Milano? Chi incontreranno i nuovi abitanti? Merci o muse.
Le Ferrovie dello Stato costituiscono la società Grandi Stazioni, con l’obiettivo di riqualificare e gestire i 13 maggiori complessi ferroviari italiani. Viene firmato un contratto di gestione della durata di 40 anni.
In seguito alla procedura di privatizzazione avviata da Ferrovie dello Stato S.p.A. il 40% della società viene ceduto in seguito ad una gara alla cordata Schema 24, costituita dal Gruppo Pirelli, Gruppo Benetton, Gruppo Caltagirone, Ferrovie Francesi. La cordata valuta la società 1000 miliardi di lire e paga 400 miliardi. Dopo l’acquisizione la cordata cambia nome in Eurostazioni.
Viene presentato nella Sala Presidenziale della Stazione Centrale di Milano un primo schema progettuale di ristrutturazione, sul modello di quanto realizzato alla Stazione Termini di Roma
Il Consiglio di Amministrazione di Grandi Stazioni approva un piano di sviluppo per il periodo 2001-2003 con investimenti globali di circa 584 miliardi di lire, 30 miliardi di utile nel 2001 e 60 miliardi nel 2004, fatturato di 220 miliardi nel 2001 e 314 miliardi nel 2003. La missione aziendale passa dalla mera gestione degli spazi ad un’ampia creazione di valore sui propri asset, grazie alla valorizzazione dei flussi caratteristici dei grandi poli di interscambio trasportistico.
Grandi Stazioni presenta alla stampa il Piano operativo per la totale ristrutturazione delle grandi stazioni. Per Milano è previsto un incremento del 92% dei servizi primari e secondari, prevalentemente commerciali, il soppalcamento della Galleria delle Carrozze e di tutti i saloni interni.
In seguito all’uscita di alcuni articoli sulla stampa, la Sovrintendente di Milano Di Francesco chiede informazioni a Grandi Stazioni, che risponde il 12/1/01 che quanto presentato era solo il Piano di Impresa ma che, in considerazione del valore storico ed architettonico della stazione, sarebbe stato avviato un rapporto di collaborazione con la Soprintendenza sui contenuti e caratteristiche delle opere da attuare.
Si svolgono una serie di incontri e sopralluoghi tra l’arch. Tamino di Grandi Stazioni e la Soprintendenza di Milano per definire il progetto preliminare.
Un gruppo di docenti della Facoltà di Architettura di Milano scrivono alla Sovrintendenza una lettera di critica alle linee guida del progetto preliminare, opponendosi alla chiusura della Galleria delle Carrozze, alla creazione di soppalchi su due livelli al suo interno, alla creazione di mezzanini nel Salone Biglietterie e nella sale laterali, ai mezzanini nei quattro saloni al piano dei binari, alla balconata sui binari, alla bucatura della Galleria di Testa con i tapis roulants.
Grandi Stazioni presenta ufficialmente il progetto preliminare alla Soprintendenza, ma non al Comune di Milano né alla Regione Lombardia.
La Soprintendenza richiede l’eliminazione dei soppalchi nella Galleria delle Carrozze e delle vetrate di chiusura e l’eliminazione o riduzione degli altri soppalchi, in quanto invasivi dell’architettura “gigante” che caratterizza le pareti qualificando gli ambienti, mentre approva le nuove rampe mobili di collegamento tra la nuova biglietteria e la Galleria di testa, chiedendo di salvare le parti di mosaico ricollocandole in altro luogo.
Il Consiglio di Zona 2, che si tiene costantemente informato sull’evoluzione del progetto, ottiene copia del progetto preliminare dalla Sovrintendenza.
Il Progetto di Grandi Stazioni viene inserito dal CIPE nel programma delle opere strategiche della Legge Obiettivo e quindi può avvalersi delle procedure di approvazione rapida previste dalla legge, che prevede lo svuotamento dei poteri delle Conferenze di Servizio e il possibile scavalcamento dei pareri delle Sovrintendenze ed Enti Locali.
In seguito alla presentazione di nuove tavole la sovrintendenza chiede l’eliminazione dei mezzanini nel salone biglietterie, la riduzione della balconata sui binari limitandola all’ambito della gallerie laterali, l’allontanamento dai muri degli altri soppalchi con un rendering che ne verifiche l’inserimento nei singoli spazi. Chiede inoltre un dettagliato progetto di restauro degli apparati decorativi e la formulazione del progetto dell’apparato segnaletico-informativo.
Italia Nostra e il Coordinamento Comitati Milanesi organizzano un dibattito sul progetto preliminare in cui emergono sostanziali rilievi al progetto sia dal punto di vista estetico che funzionale e danno vita ad una coalizione civica che chiede l’audizione pubblica delle Commissioni Urbanistica ed Edilizia del Consiglio Comunale.
Il Consiglio di Zona 2, esaminato il progetto preliminare, chiede di essere coinvolto nell’esame del progetto definitivo e chiede un incontro con i progettisti di Grandi Stazioni.
Il Governo Berlusconi vara il regolamento attuativo della Legge Obiettivo (D.Lgs 190/02) in cui vengono stabilite le modalità di approvazione ed esecuzione delle opere strategiche nel massimo dettaglio. Il Ministero dei Trasporti può con propria istruttoria approvare o respingere le richieste di prescrizione di Soprintendenze ed Enti Locali. Il potere delle regioni viene limitato.
Grandi Stazioni invia il progetto definitivo del recupero ed adeguamento funzionale delle Grandi Stazioni a Soprintendenze, Regioni, Comuni, Vigili del Fuoco, ASL che devono inviare entro 90 giorni le loro richieste di prescrizione al Ministero dei Trasporti. Viene convocata una conferenza di servizi per il 25 novembre a Roma, ma senza poteri effettivi di discussione ed approvazione dei progetti. Viene inoltre inviato il progetto preliminare per le sistemazioni viabilistiche esterne alle Regioni. Il progetto definitivo lascia aperta la Galleria delle Carrozze ed elimina i soppalchi in questa e nel Salone Biglietterie. Gli altri soppalchi rimangono invariati, nonostante le richieste della Sovrintendenza.
Il Comune di Milano affida l’esame del progetto all’Ufficio Piccole Opere del Settore Concessioni ed Autorizzazioni Edilizie ed al Settore Traffico per le opere esterne. Queste prevedono la costruzione di un parcheggio sotterraneo di 1000 posti auto e 4 piano interrati in Piazza Luigi di Savoia e le tettoie esterne per i posteggi taxi, che vengono tolti dalla Galleria delle Carrozze. La Regione esamina sia le opere interne che le esterne nei propri uffici tecnici.
I consiglieri comunali del centro-sinistra chiedono di poter esaminare ed approvare il progetto in commissione urbanistica, prima che scadano i termini per la presentazione delle prescrizioni. La Giunta Comunale approva il progetto con alcune prescrizioni ignorando il Consiglio Comunale. Le prescrizioni riguardano l’ampliamento della tettoia dei taxi in Piazza Luigi di Savoia, nuovi parcheggi per gli spazi commerciali in via Tonale, un collegamento con la fermata degli autobus in viale Brianza. Il progetto non viene esaminato dalla Commissione Edilizia né dal Consiglio di Zona 2 che chiede l’invio del proprio Presidente alla Conferenza di Servizi del 25 novembre.
Repubblica pubblica un articolo fortemente critico dell’arch. Jacopo Gardella.
Il progetto viene finalmente presentato al Consiglio Comunale ma senza la possibilità di esprimere osservazioni.
La Sovrintendenza invia le proprie osservazioni alla Conferenza di Servizi. Viene ribadita la richiesta di rivedere i soppalchi, di spostare l’uscita delle rampe dal metrò dal centro della galleria delle carrozze e di presentare un progetto di restauro.
La Giunta della Regione Lombardia approva le prescrizioni, senza esame da parte del Consiglio Regionale. Viene richiesto lo spostamento della biglietteria, una migliore suddivisione dei flussi dei viaggiatori, un miglioramento delle aree di attesa dei taxi.
Si chiude a Roma la Conferenza di Servizi, priva di effettivi poteri decisionali. I Verdi, Italia Nostra, il Coordinamento del Centro Sinistra inviano il proprio articolato parere negativo sul progetto, anche se non richiesto, a fronte dello scavalcamento del consiglio comunale e dell’opinione pubblica milanese.
Grandi Stazioni presenta il progetto al Consiglio di Zona 2 fuori tempo massimo, il progetto viene violentemente criticato.
Articoli critici sul progetto escono sulla stampa milanese.
Il Ministero dei Trasporti esamina le osservazioni pervenute. Le osservazioni della Sovrintendenza sui mezzanini vengono respinte in quanto configgono con le esigenze funzionali del progetto. I mezzanini vengono scambiati nell’istruttoria per magazzini.
Si riunisce il CIPE per l’approvazione del progetto definitivo delle 13 grandi stazioni e del progetto preliminare per le opere esterne. I Verdi, saputo l’esito dell’istruttoria, ottengono che i pareri delle Sovrintendenze vengano tutti considerati come prescrizioni che i progetti esecutivi dovranno rispettare in modo sostanziale. Il Governo finanzia solo le opere esterne, quelle interne sono tutte finanziate da Grandi Stazioni, che si avvale della Legge Obiettivo solo per l’accelerazione delle procedure di approvazione. Per Milano il costo previsto è di circa 107 milioni di euro.
I Verdi ottengono copia del progetto definitivo e di tutta la documentazione presentata al Comune di Milano. Si conferma il raddoppio delle superfici commerciali e l’allungamento delle percorrenze dei viaggiatori per raggiungere i treni.
Un editoriale di Casabella è fortemente critico del progetto, chiamato Supermarket Stazione Centrale.
L’Ordine degli Architetti di Milano organizza un dibattito sul progetto in cui il progettista arch. Tamino è sottoposto a forti critiche da parte del Prof. De Poli e dalla prof. Bossaglia. Il progetto viene difeso dal Presidente di Assolombarda Perini in sala ed in un successivo articolo sul Corriere della Sera.